Un caso sconcertante ha scosso la provincia di Napoli: un luogotenente dei carabinieri, in servizio alla tenenza di Arzano, è stato arrestato con l’accusa di essere a libro paga del clan della 167. Per anni, avrebbe percepito uno stipendio fisso di mille euro al mese, oltre a bonus tra i 2.000 e i 3.000 euro, in cambio di segreti sulle indagini. L’uomo, 58enne originario della provincia di Caserta, è finito in manette insieme a tre esponenti del gruppo criminale, in un’operazione che svela un intreccio di corruzione e camorra.
I favori al clan: soffiate e latitanze agevolate
Il carabiniere non si limitava a incassare denaro: offriva al clan informazioni riservate, come l’imminenza di misure cautelari, permettendo a boss e affiliati di sfuggire alla giustizia. Tra i favori contestati, spicca l’omissione di un decreto di fermo nel 2017 e l’avvertimento su un blitz nel 2018, che garantì la latitanza a due indagati. Non solo: avrebbe anche rimosso prove e dispositivi di videosorveglianza, sabotando le indagini sul clan operante ad Arzano.
Uno stipendio fisso e benefit extra
Oltre ai mille euro mensili, il militare riceveva regalie di vario genere: somme extra per soffiate particolarmente utili, ma anche interventi di manutenzione e carrozzeria per le sue auto e quelle dei familiari. Questo “pacchetto” di benefici dimostra quanto fosse profondo il legame con il clan della 167, un’organizzazione legata agli scissionisti e attiva nel controllo del territorio a nord di Napoli. Le indagini, condotte dai suoi stessi colleghi, hanno portato alla luce un sistema di corruzione continuata, aggravato dalla finalità mafiosa.
La caduta di un uomo in divisa: arresti e accuse
L’operazione ha colpito duro: in carcere, oltre al carabiniere, sono finiti Giuseppe e Mariano Monfregolo e Aldo Bianco, considerati vertici del clan. Contestati reati pesanti come corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio e associazione mafiosa. Coinvolti anche due collaboratori di giustizia, indagati a piede libero. Un duro colpo alla credibilità delle forze dell’ordine, ma anche la prova di un sistema investigativo che non risparmia chi tradisce la divisa.
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