Simonetta Kalfus, 62enne romana, è deceduta il 18 marzo 2025 all’ospedale Grassi di Ostia, dodici giorni dopo un intervento di liposuzione eseguito in una clinica privata della Capitale. L’autopsia, condotta presso l’istituto di medicina legale di Tor Vergata, ha rivelato una verità sconvolgente: la causa del decesso è una grave sepsi, un’infezione sistemica che ha devastato il suo organismo. La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo, indagando tre medici coinvolti nella vicenda, mentre cresce l’attenzione sulle condizioni in cui è stato svolto l’intervento.
Un intervento dai rischi sottovalutati
L’operazione, avvenuta il 6 marzo in regime di day hospital, prevedeva l’asportazione di grasso da più zone del corpo. Simonetta, inizialmente accompagnata a casa da un anestesista amico, ha iniziato a manifestare dolori intensi nei giorni successivi. Dopo un primo accesso all’ospedale di Pomezia, dove è stata dimessa con una terapia antibiotica, le sue condizioni sono precipitate. Ricoverata d’urgenza a Ostia, è entrata in coma vegetativo, un calvario culminato con la morte. L’autopsia ha confermato che l’infezione letale potrebbe essere legata a irregolarità nell’intervento.
Tre medici sotto accusa: cosa è andato storto?
Le indagini si concentrano su tre figure: il chirurgo estetico, già condannato in passato per lesioni, l’anestesista che ha assistito all’operazione e un medico di Pomezia che non avrebbe riconosciuto la gravità della situazione. La Procura ha disposto il sequestro delle cartelle cliniche e sta verificando se la clinica rispettasse gli standard sanitari. Un collegio peritale analizzerà il percorso clinico della donna, mentre gli esami batteriologici chiariranno l’origine della sepsi. La figlia di Simonetta, che ha sporto denuncia, chiede giustizia per una tragedia che poteva essere evitata.
Un caso che riaccende l’allarme sulla chirurgia estetica
La morte di Simonetta Kalfus non è un episodio isolato: richiama alla mente altri casi di complicanze fatali legate a interventi estetici. La vicenda ha scatenato un dibattito sulla sicurezza delle strutture private e sulla necessità di controlli più rigorosi. Associazioni per i diritti dei cittadini hanno annunciato esposti, mentre la famiglia della vittima, distrutta dal dolore, punta il dito contro una fiducia mal riposta. Questo dramma sottolinea l’importanza di scegliere con cura i professionisti e di non sottovalutare i rischi di procedure considerate “di routine”.
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